Storia del soldato Ninno nella seconda guerra mondiale

Storia del soldato Ninno nella Seconda Guerra Mondiale – Fronte Francese Russia Italia –

Dalle memorie scritte di Alfonso (Ninno) Calcagno (1915-2006) Finale Ligure frazione Mànie

Questo testo appartiene al sito www.ricercaetereperduto.it

PREFAZIONE
Le memorie della seconda guerra mondiale, in particolare della campagna di Russia, sono state scritte anche da altri soldati italiani. Molto spesso si tratta di ufficiali o sottufficiali dell’esercito monarchico e fascista di quei tempi. E per diventare ufficiale, o sottufficiale, a quell’epoca occorreva essere ben integrati e ben allineati con la monarchia, con il regime fascista e con il modo di pensare che allora dominava l’Italia. In altre parole era necessario aver dato il proprio appoggio diretto, morale e materiale, a quell’esaltazione militaresca e guerrafondaia sostenuta dal fascismo e dalla monarchia. Si tratta quindi di persone che sono corresponsabili di quanto è avvenuto; anche se dopo si sono pentite amaramente.
Il lettore potrà pensare che a quell’epoca era necessario allinearsi con il regime fascista anche nella vita civile, per trovare lavoro, per fare carriera, ma anche per il quieto vivere di tutti giorni. Anche questo è certamente vero, però, per diventare ufficiali era necessario essere proprio “fascisti impegnati e di chiara fama”, altrimenti le stellette se le scordavano.
Io, invece, sono stato richiamato alle armi come soldato semplice (e ne avrei fatto volentieri a meno) mentre stavo svolgendo il mio duro lavoro di contadino in una terra aspra com’è la mia Liguria, e per questo lavoro le amicizie politiche non servono; raccogli quello che hai seminato e coltivato.
La storia che sto per raccontare è molto simile a quella di tutti i richiamati, o di leva, specialmente contadini, strappati dalle loro case e mandati al fronte a combattere. Per anni abbiamo temuto di non ritornare più, pensando ai familiari privati del nostro sostegno, ai nostri vigneti e frutteti abbandonati. Io sono tra i fortunati che sono riusciti a ritornare a casa tutti interi. Ben peggiore sorte è toccata a tutti i poveri ragazzi che sono morti in guerra, e sono tanti. Osserviamo i loro nomi sulle lapidi, pensiamo a loro e riflettiamo sull’assurdità della guerra.

Per i giovani di oggi: perché leggere la storia di un uomo in una guerra iniziata dall’Italia nel 1940?

La II Guerra Mondiale, per il numero di caduti e per la distruzione materiale dei paesi coinvolti, è stata l’avvenimento più tragico della storia dell’umanità. E la campagna di Russia è stata la più grave sconfitta
militare dell’Italia, aggravata dalla drammatica ritirata a piedi dei nostri soldati nell’inverno russo.
Per inquadrare il racconto nel grave contesto storico in cui si è svolto, il testo contiene anche dei brevi riferimenti ai principali avvenimenti della guerra e alle condizioni di vita e al clima politico di quell’epoca,
dell’Italia sotto la dittatura fascista, senza libertà di pensiero e di opinione, senza una magistratura indipendente dal potere politico e senza partiti di opposizione. Tutte queste condizioni avevano favorito l’infiltrazione di molte persone disoneste in vari settori dello Stato, in particolar modo nell’ambiente chiuso e autoritario delle forze armate.

Come vedremo nel racconto, i nostri soldati erano costretti a subire insulti e soprusi e furono mandati a combattere e a morire lontano dall’Italia in una assurda guerra di aggressione verso altri popoli, combattuta
però con mezzi scarsi e arretrati e con un’organizzazione e dei comandi meno che mediocri.
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Il libro è composto da 34 intense pagine, scritte con caratteri Times N.R. 11, contenenti drammatici episodi, e racconta: la vita nelle caserme del Piemonte prima della guerra, la guerra sul fronte francese, il viaggio per il fronte russo, la guerra sul fiume Don, la vita negli ospedali militari, la drammatica ritirata nell’inverno russo- ucraino, alcuni mesi in Bielorussia, il ritorno in Italia, il proseguimento della guerra fino all’otto Settembre del ‘43 (quando l’Italia si arrese agli Alleati) e il ritorno a casa. Il testo contiene anche due brevi racconti dei compagni d’armi sulla guerra in Albania e in Jugoslavia, assolutamente veri e difficili da trovare in altri libri.

Il testo finisce con alcune considerazioni sulla tragedia che abbiamo vissuto e sullo scenario complessivo della guerra dell’Italia, che fa da sfondo a tutto il racconto.

Riportiamo qui di seguito alcune pagine del racconto.

Il richiamo alle armi:
— I primi giorni di maggio del ‘40 arrivò un’altra cartolina precetto mandata da quei signori che ci comandavano. Questa seconda volta eravamo molto più preoccupati di quando abbiamo ricevuto la prima,
perché si prevedeva un prossimo coinvolgimento dell’Italia nella guerra che l’Inghilterra e la Francia avevano già dichiarato alla Germania. Il regime fascista ormai era diventato una banda di delinquenti esaltati
e temevamo che presto avrebbe trascinato l’Italia in questa catastrofe. Infatti la guerra rappresentava un giro d’affari colossale per le industrie….. Richiamarono anche molti altri giovani, tra cui mio fratello Arturo, mio cognato Guglielmo, marito di mia sorella Ines. E mio cognato Ambrogio, il marito di mia sorella Lina.
Avevano già un figlio piccolo e la moglie era incinta per la seconda volta. Ambrogio lo fece presente al distretto militare, ma agli alti ufficiali non importò nulla. Quando la Patria chiama non ci sono mogli e figli
da mantenere che tengano. Così gli misero un cappello d’alpino in testa e lo arruolarono. Non è più tornato!
Ambrogio e il suo cappello d’alpino, con la penna nera, sono rimasti nel ghiaccio e nella neve del freddo inverno russo….
Arrivo alla caserma di Acqui e, come temevo, dopo due giorni ho di nuovo i pidocchi addosso. Il cibo è scarso e il pane ammuffito. Ogni sera una marea di uomini si riversa nelle trattorie per sfamarsi. —

L’inizio della guerra:
— Dopo il dieci giugno arriva di nuovo l’ordine di partire. Siamo ritornati indietro per qualche chilometro e poi abbiamo preso la strada che va al monte Argentera. Mentre procedevamo lungo la salita, ancora in
colonna, ecco arrivare il primo colpo di cannone sparato dai Francesi. Per fortuna solo un grosso spavento, ma nessun morto. Ci siamo messi subito al riparo dietro un gruppo di case. Ora i Francesi sparano dai loro forti con i cannoni a lunga gittata. Noi abbiamo gli obici 149, così chiamati. I loro colpi fanno una parabola molto alta e sono adatti a colpire anche dietro la montagna. Incomincia la battaglia. —

La partenza per la Russia:
— Il CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia), forte di 61.000 uomini, partì nel mese di Luglio del 1941, per precisa volontà di Mussolini. Noi partimmo da Acqui per la Russia nella primavera del 1942. —

Verso il fronte:
— Passò la nostra fanteria, per giorni e giorni soldati carichi e stanchi in marcia, a piedi naturalmente, verso il fronte; una colonna che non finiva mai, facevano pena.
Un caporale di Gorizia, di nome Cumar, che conosceva il russo, si mise a parlare con alcune donne ucraine, non erano contadine, erano ben vestite, sembravano donne molto colte, e anche loro conoscevano il russo. Ci riferì, dicono: – Poveri soldati, vanno tutti… verso una morte certa. – Quelle donne ci invitarono a casa e ci offrirono anche da mangiare. Ci dissero che i Tedeschi trattavano il loro popolo come degli schiavi, come
una razza inferiore. Con noi Italiani, invece, era tutto diverso. Quando siamo andati via ci vennero le lacrime, pensando all’assurdità della guerra e al fatto che eravamo noi gli aggressori. —

La guerra sul Don:
—- Di notte, nel silenzio, in lontananza si sentono i megafoni dei Russi. Ci invitano a non farci ammazzare, e ad arrenderci. Dicono: – Italiani, oramai siete nella trappola, arrendetevi o morirete – .
I nostri ufficiali, per farci coraggio, affermano che le perdite dei Russi sono superiori alle nostre, ma il nostro morale cala ogni giorno……… Finita la battaglia rimangono sul campo i morti e i feriti. Il mattino dopo
siamo andati a raccoglierli: un migliaio di morti, tra i nostri e i nemici. Alcuni caduti sovietici hanno i lineamenti asiatici, molti altri hanno i capelli biondi e gli occhi chiari, ancora aperti, come per voler rimanere
aggrappati alla vita, che invece fuggiva via. Molti di loro sembrano dei ragazzi giovani, di sedici, diciassette anni. Io ne ho già ventisette, e vedere dei ragazzi morti così giovani, mi fa venire un groppo alla gola, anche se sono nemici. —

Negli ospedali militari:
— Nella mia camera c’è un maresciallo degli alpini, ha perso una gamba in battaglia. Mi vede sempre al lavoro e si complimenta con me. Con tutti questi feriti che avevano bisogno di aiuto, molti si lamentavano,
qualcuno urlava, non potevo proprio stare con le mani in mano, anche se la destra era ancora fasciata.

Un giorno, in una camera vedo un ragazzo che conosco e che, purtroppo, anche lui ha perso una gamba.
Eravamo insieme nel ’36, quando eravamo di leva. Insieme abbiamo lavorato per costruire una strada a Castiglione, in provincia di Cuneo. Ora lo ritrovo qui, a Voroshilovgrad, senza una gamba. —

La ritirata:
—Camminare sul terreno ghiacciato con lo zaino, il moschetto e il resto dell’equipaggiamento, non era agevole, ogni tanto si finiva anche a gambe all’aria. E più di quattro, cinque chilometri all’ora non si riusciva
a fare……..Abbiamo preso il vento e la neve gelata in faccia, a venticinque gradi sotto zero, per ore e ore.
Avevo il passamontagna e la faccia coperta alla meglio con degli stracci. E avanti, con la forza di volontà di non cedere neanche un momento …..Quando chiedevo i semi di girasole agli Ucraini, mi veniva sempre in
mente che un giorno in Russia, vicino al fronte, avevo visto un granaio bruciare, e un nostro comandante aveva fatto allontanare i contadini russi che cercavano di spegnere il fuoco. In ogni casa mi ritornava questo
ricordo e mi prendeva un senso di vergogna.

Chissà perché quel comandante si era comportato in quel modo?
…. Un giorno in quel paese passò una lunga colonna di bovini. Erano stati requisiti dai Tedeschi. C’erano i loro soldati a cavallo che seguivano la colonna e sorvegliavano che nessun animale andasse disperso. Erano
tutti destinati alle loro cucine. Per loro carne a volontà. Mentre gli Ucraini e noi Italiani a patire la fame………. Ognuno di noi sognava di ritornare a casa con quel treno. Ma la nostra destinazione non era l’Italia, ma la Russia Bianca, detta anche Bielorussia, che era ancora completamente sotto il controllo delle forze dell’Asse. I nostri comandi pensavano di poter riorganizzare le truppe e di mandarci di nuovo a combattere. Il treno partì e viaggiò un giorno intero. Arrivò a Gomel (o Homel), dove eravamo già passati quando si andava avanti; ora invece tornavamo indietro. Era notte, ci portarono in un palazzo vicino alla stazione dove al piano terra c’era un forno speciale per cuocere i pidocchi che si trovavano nei vestiti di tutti i soldati che transitavano. C’erano dei carrelli di ferro con i ganci per appendere i panni ………Arrivarono diversi soldati rimasti intrappolati dentro le “sacche”, circondati dai Russi. Dissero che avevano dovuto combattere parecchio per venirne fuori e che erano riusciti a rompere l’accerchiamento grazie ai cannoni e ai
carri armati dei Tedeschi. E avevano avuto molte perdite. C’erano molti alpini —

Rientro in Italia:
— Io rientrai ad Acqui e mi assegnarono al Deposito. Da qui mi spedirono a Nettuno. Arrivato a Roma, scesi dal treno e visitai la città, la trovai già mal concia per il precedente bombardamento degli Alleati. Poi arrivai a Nettuno —-

Subito dopo l’Armistizio:
—- Con il telefono chiamo la caserma e chiedo all’ufficiale di picchetto che ordini ci sono e come dobbiamo comportarci con i nostri ex alleati. Risposta:- Non c’è nessun ordine e nessuna disposizione in merito.- Metto giù il telefono e esco fuori insieme ad un mio compagno. Improvvisamente sentiamo delle raffiche di mitra. Si sente gridare e poco dopo vediamo venire verso di noi una moto con sidecar con tre Tedeschi armati sopra.
Il mio compagno ed io abbiamo entrambi il fucile a tracolla, gli dico subito di stare fermo e di non farsi nemmeno venire in mente di toccarlo. Infatti, i Tedeschi passando ci fanno cenno di mettere a terra il fucile, e
uno di loro aveva già il mitra in mano. ……. Più tardi abbiamo saputo che le raffiche di mitra, che avevamo sentito poco prima, erano state sparate nei pressi della polveriera: il capoposto impugnando il fucile aveva
intimato l’alt a dei soldati tedeschi, e questi l’avevano fatto fuori, immediatamente. —

La testimonianza di un reduce della Jugoslavia:
— La situazione sembrava tranquilla, ma un giorno in un paese i partigiani jugoslavi attaccarono di sorpresa i soldati italiani, uccidendone circa quindici. Con grave spregio e con una crudeltà senza limiti presero i corpi di quei nostri poveri compagni e li appesero a dei ganci, come si fa con gli animali da macello. Dopo questi efferati atti i partigiani fuggirono, lasciando la popolazione inerme a subire le conseguenze delle loro
sconsiderate azioni…….Gli Italiani che erano nei posti vicini si accorsero immediatamente di quest’attacco e organizzarono subito un gruppo di circa trecento uomini per intervenire. Tra questi si trovava il caporalmaggiore che ho conosciuto a Nettuno. … Continuando l’ispezione trovarono i corpi dei nostri compagni morti, appesi ai ganci, come animali. A questo punto furono presi da una forte rabbia e dalla tremenda voglia di vendicare i loro compagni, così gravemente ingiuriati. E per rappresaglia uccisero tutti gli abitanti che si trovavano in quel paese. I nostri soldati entrarono nelle case sfondando le porte e spararono sui bambini, sulle donne e sui vecchi. Un terribile massacro. —

La testimonianza di un marinaio che era in Albania:
—Mi ha anche raccontato che quando i sottomarini inglesi hanno affondato davanti all’Albania la nave Galilea, che trasportava il reggimento di alpini Gemona, lui con altri marinai che erano a Valona le settimane
successive hanno raccolto in mare i corpi di duemila soldati italiani morti. A questi vanno aggiunti tutti i dispersi che non sono stati più ritrovati. Altro che mille caduti! Come è stato scritto in un libro famoso…..
Un’altra volta le navi inglesi colpirono una nostra nave carica di munizioni, che esplose immediatamente.
Questa volta non gli toccò più il pietoso compito di raccogliere i soldati morti, perché, insieme agli altri marinai giunti in soccorso, trovò sul mare solamente dei pezzi di legno e delle scarpe galleggianti.—-

Il ritorno a casa:
— Dopo altri giorni di cammino sono arrivato finalmente a casa e ho potuto riabbracciare nuovamente i miei famigliari. Apprendo subito che mio cognato Ambrogio non è tornato dalla Russia e ho un triste
presentimento, ma ai miei dico: – Speriamo che torni presto -. L’altro mio cognato, Guglielmo (chiamato Min), è stato ferito alla gamba destra da un colpo di mitraglia di uno aereo inglese, e ora è ricoverato in
ospedale.
Scendo a Varigotti per salutare mia sorella Ines e vedo che tra la spiaggia e la via Aurelia, che corre affiancata alla spiaggia, ed è quasi due metri più alta, hanno costruito un muro antisbarco lungo quasi un chilometro. Penso subito: – Perfetto, hanno costruito un muro antisbarco qui in Liguria e, invece, gli Alleati sono sbarcati sulla costa Sud della Sicilia. E’ proprio una guerra condotta bene! —

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